mercoledì 12 agosto 2015

Un delicato gioco di ri-specchi



Alcuni giorni fa è stato proposto ai partecipanti del Gruppo di Comunicazione, di scrivere alcuni articoli sul blog di Accademia.
Subito non ho esultato vista la mia, ormai pubblica, scarsa propensione alla scrittura ma poi, dopo appropriate riflessioni ho accettato l’invito.


Circa dieci anni fa ho partecipato al Seminar di Bonazzola e da quando ho sperimentato sulla mia pelle la validità dell’autoimmagine è scattata in me la necessità di conoscere di più. Perché funziona il rilassamento, cos’è la visualizzazione, quali utilizzi si possono fare e via dicendo. Per me è diventata una questione di “giustizia sociale”: se fare un “gioco” con la mente di 15 minuti al giorno ha delle ricadute così evidenti nell’esistenza di una persona, è ovvio che “questo gioco” deve essere fatto conoscere il più possibile e dovrebbe diventare dotazione di ogni essere umano.

Così ho aderito alle varie proposte di Accademia, tra le quali appunto il corso di Comunicazione (C1). Oltre ad essere stata allieva, ben presto ho accettato l’invito di entrare a far parte del gruppo di lavoro. Certo, ora che tu mi stai leggendo dirai: facile! Ti interessa, ti piace è una strada spianata! Potrebbe sembrare così, ed in parte lo è ma…. è una continua avventura dove non si conoscono a priori le conseguenze. L’entusiasmo è un ingrediente basilare, ma l’impegno è altrettanto necessario senza parlare dell’auto-motivazione.

Fare assistenza ad un corso ha infiniti aspetti interessanti, dalla preparazione “culturale” al coraggio di dire: Gloria, Alessandro, sì sono disponibile per quel week-end, ci sarò!
E per finire al coraggio di alzarsi dalla sedia ad inizio corso. Essere in assistenza significa sentirsi un po’ ogni giorno sotto il mirino. Il tema della comunicazione è vasto e non ci si può sottrarre. Possiamo considerare che ogni azione, compiuta o meno, ha un effetto collaterale nelle relazioni: da come saluto il mio vicino di casa, a come rispondo al telefono in ufficio per non parlare della qualità dei rapporti con le persone amate. Significa vivere la propria quotidianità ma con all’interno una vocina che ti pungola, che ti fa pensare e che ogni tanto ti pesta i calli. Per entrare in sala le competenze richieste sono diverse, tra le quali il “conoscere” gli argomenti che si propongono e qualcosa in più. Significa leggere testi sull’argomento, assistere a conferenze o partecipare a formazioni con il Gruppo di Comunicazione.

Ogni giorno è occasione per sperimentare gli assiomi, la centratura o la danza di Matisse! Per entrare in sala si deve esser ben allenati ed addestrati, come si dice in Accademia, e la responsabilità personale è quanto mai sentita. L’essere umano è meraviglioso, unico ed insostituibile e quindi più prezioso di un diamante ma delicato come i petali di un fiore. La conseguenza è che non ti senti in assistenza solo in sala, ma ti senti protagonista di ogni atto comunicativo nella vita di ogni giorno. È occasione per riflettere ogni volta che hai un confronto, un battibecco, impari ad osservare le reazioni tue e dell’altro, inizi a riconoscere l’orgoglio, il senso di offesa, rabbia, tristezza, e a quantificare il tempo di disagio provato prima di riuscire a modificarlo. Durante il corso si parla di andare oltre i limiti con un “giochino”. Facile quando si conosce il risultato! Il complicato è accorgersi di essere incagliato dentro un limite che non si riconosce! Si parla di ascolto attivo, tutti sappiamo cos’è, oramai ne parlano in tutti i giornali. Intrigante è quando hai a che fare con punti di vista, talmente diversi che per te sono impensabili. Riconoscere che anche in questo caso è semplicemente un aspetto della realtà, è disarmante.
Sto allenando la mia tolleranza, i miei punti di vista si sono moltiplicati perché riconosco che davanti a me ci sono persone che hanno una storia, un vissuto che io non conosco e non sempre posso immaginare. Quando ci relazioniamo, quando comunichiamo ci mettiamo in mostra, ci mostriamo all’altro così come siamo, e quello che l’altro vede è la nostra autoimmagine. (consapevole o meno). 

In definitiva essere in assistenza significa entrare a far parte di un gruppo che ti stimola il processo di: conoscenza, di esperienza e di cambiamento. Il gioco ha diversi vincitori: far parte di un gruppo con tutti i benefici che si possono immaginare, ma avere anche delle belle ricadute nella vita personale. Imparare a sfidare i propri limiti, rivedere i successi e gli insuccessi ed assaporare con soddisfazione l’ambizione di star bene.



Isabella Barbiero - Gradisca d’Isonzo, 21.04.15

Nessun commento:

Posta un commento

Se hai voglia di esprimere il tuo pensiero fallo qui. Saremo felici di pubblicarlo! Faremo solo una verifica, per evitare che il blog sia riempito di messaggi spam, ma sarà online al più presto.